martedì 13 marzo 2012

La vita e la morte per il diritto

La nascita e la morte di un uomo sono eventi naturali che il diritto classifica come "fatti" e che prende in considerazione in numerosissime disposizioni. Escludendo la trattazione delle implicazioni giuridiche che tali fatti comportano, vogliamo incentrare l'attenzione sul rinvio che viene fatto dal diritto alle medicina, proprio per spiegare e constatare questi eventi biologici. Il diritto non sempre è autosufficiente, completo e autonomo, molti sono i campi in cui deve necessariamente "chiedere" l'ausilio di altre discipline tecniche e scientifiche, quali la medicina, la biologia, la chimica e molte altre.

Partendo dal concetto di vita, l'articolo 1 del codice civile afferma: "la capacità giuridica si acquista al momento della nascita" e poi al comma 2 " i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all'evento della nascita". Da questa norma si evince che - per il diritto - il nascere implica il concetto di vivere autonomamente, con distacco dal corpo materno e sopravvivenza autosufficiente. L'individuo nato (e che sopravvive da solo) è quindi vivo e possiede la capacità giuridica, nel senso che può essere soggetto di diritti e doveri. Il diritto, però, si occupa dell'evento nascita ma non lo definisce, forse anche perché una definizione unitaria di vita non si riesce a fornire nemmeno dal punto di vista biologico. Senza dubbio la vita si può descrivere, si possono elencare le manifestazioni dell'organismo vivente poichè differiscono da quelle dell'organismo non vivente, si può caratterizzarla tramite i processi metabolici, le funzioni cellulari, ma darne una definizione sintetica e comunemente accettata è storicamente impossibile. Sin dal passato più remoto i tentativi di identificare il concetto di vita sono approdati "solo" alla descrizione di funzioni quali il respiro, il circolo sanguigno e l'attività venosa (il c.d. Tripode di Bichat).
Nel secondo comma della norma codicistica notiamo anche la presenza di una tutela anche a favore di chi non è ancora nato, il concepito. La legge riconosce ad esempio la donazione a favore del nascituro (art 784 cod.civ.) ma l'atto diviene operativo solo con la nascita (nel senso in cui l'abbiamo sopra intesa).
Siccome l'art.1 del cod.civ. fa discendere dal nascere conseguenze giuridiche molto pratiche, non occorre tanto soffermarsi sulla ricerca di un principio astratto definitorio quanto su un criterio applicativo pratico. E la medicina aiuta il diritto in questo campo, essa distingue infatti la vita intra-uterina dalla vita extra-uterina in base alla respirazione polmonare la quale determina una modificazione morfologica irreversibile del polmone. La docimasia idrostatica (dal greco docimasia vuol dire esame, prova) consiste nel complesso di esami volti a stabilire se un feto sia nato vivo o morto e si attua ponendo i polmoni del feto in acqua: se i polmoni galleggiano significa che contengono aria e quindi il bambino è nato vivo e ha respirato. Il polmone si espande immediatamente al primo respiro ed è la traccia della vita.
Non si pongono problemi riguardo ai prematuri, ossia quei neonati (ad esempio usciti dal grembo materno al sesto mese di gravidanza) che riescono a sopravvivere, anche per un certo periodo, in un reparto di terapia intensiva, grazie alle moderne tecniche biomediche. Tale sopravvivenza non autonoma è considerata a tutti gli effetti vita.
Passando al concetto di morte, mentre - come abbiamo precedente visto- manca una definizione di vita, esiste invece una definizione legale di morte. La legge N. 578 del 1993 afferma che "la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo". L'accertamento della morte, come quello della vita, è indispensabile per il diritto in una moltitudine di ambiti (ad es. per le successioni, per l'estinzione del reato, ecc...). Naturalmente questa nozione presente in una legge è il risultato di una vicenda scientifica e culturale, che ha trovato il suo epilogo in questa "encefalizzazione" del concetto di morte in virtù delle nuove terapie incentrate sul trapianto di organi. La morte è quindi morte cerebrale ed occorre accertarla con le strumentazioni idonee (es. l'elettroencefalogramma) poichè differisce profondamente dalla comune rappresentazione della morte. Nel passato si andava infatti a guardare la cessazione delle funzioni vitali o altre manifestazioni corporee, quali rigidità cadaverica, macchie di sangue non circolante, aree del corpo putrefatte, l'assenza del respiro, ecc... Oggi invece è considerato morto anche un cadavere col cuore che batte, roseo e caldo e che apparentemente respira. Questo perchè con l'evolversi delle tecniche di trapianto (il primo trapianto di rene venne effettuato nel 1954 a Boston, Stati Uniti) si iniziò a prospettare l'espiato di organi da cadavere, il quale risulta possibile solo grazie alle definizione di morte cerebrale, pubblicata per la prima volta sul Journal American Medical Association nel 1968 dal comitato di Harward. Gli organi sono sensibilissimi alla mancanza di ossigeno, per questo occorre constatare, primariamente alla cessazione del circolo sanguigno, la morte cerebrale. L'assenza di attività elettrica del cuore - come abbiamo detto - testimonia la morte del soggetto, poichè la morte effettiva del cervello come organo è una morte assolutamente irreversibile.
L'accertamento medico della morte viene effettuato da un'equipe di soggetti, tramite strumentazioni e modalità cliniche adeguate, per un periodo temporale che varia in base all'età dell'individuo deceduto (24 ore per un bambino di età inferiore ad un anno, 12 ore per un'età tra 1 e 5 anni, 6 ore sopra i 5 anni). Si deve accertare la compresenza del coma (encefalogramma piatto), assenza di riflessi del tronco e apnea.

Se vi è piaciuto l'articolo non dimenticate di aderire gratuitamente al feed di Leggendoci per rimanere sempre aggiornati sul nostro blog!  

Indietro alla pagina Forse non sapevate che

Nessun commento:

Posta un commento